Alzheimer, la diagnosi dall’AI

Familydea Blog

Un algoritmo ha dimostrato di riuscire a riconoscere le prime fasi della malattia fino a sei anni prima.

DIAGNOSTICARE l’Alzheimer prima che si manifestino i sintomi è fondamentale per assicurarsi che le terapie funzionino.

Un gruppo di ricercatori  è riuscito a ideare un sistema informatico in grado di prevedere l’insorgenza di questa patologia circa sei anni prima della diagnosi. La squadra ha progettato un algoritmo capace di apprendere da solo come riconoscere le immagini di cervelli affetti fin dalle prime fasi della malattia: addestrare una mente informatica in modo che sia in grado di valutare correttamente lo stato di salute di alcuni pazienti studiando le immagini PET dei loro cervelli.

Cominciare le terapie per affrontare l’Alzheimer nelle prime fasi della malattia, quando ancora il cervello non è stato compromesso, li rende più efficaci. Ma i metodi per una diagnosi precoce coinvolgono spesso tecniche costose e difficili da realizzare.

Sfruttare le nuove tecnologie per potenziare metodi già utilizzati, permette di limitare i costi e rendere i trattamenti più accessibili a chiunque.

L’aiuto di un’intelligenza artificiale, permette di notare segnali anche minimi. In questo studio, i ricercatori sono riusciti ad allenare un algoritmo di deep learning in modo che fosse in grado di individuare i segni della malattia già dalle fasi in cui non si è ancora manifestata.

Partendo dall’analisi di più di 2000 immagini PET, l’algoritmo impara quali sono gli elementi comuni delle fotografie più rilevanti per una diagnosi. Quando l’intelligenza artificiale ritiene di aver capito come risolvere il problema, viene sottoposta a una prova in cui deve dare un giudizio su un nuovo gruppo di immagini come quelle su cui si è allenata. Proprio come un esame. In questa ricerca il sistema è stato testato su  un nuovo gruppo di 40 immagini che ancora non aveva mai visto.

L’algoritmo è stato in grado di individuare tutti i casi di malattia con una precisione del 100%.

“Bisogna ancora verificare l’algoritmo per un numero più grande di immagini di test”, avvertono i ricercatori. Ma sicuramente si stanno creando i presupposti per un nuovo strumento che possa potenziare il lavoro dei radiologi.

 

Fonte: La Repubblica